Relazione della Dott. Rita Camerlingo della Soprintendenza per i beni artistici e storici del Veneto, pubblicata dal Rivolo nell’opuscolo del restauro della pala di Sante Peranda.
Il quadro appena restaurato, raffigurante San Martino e il povero, datato e firmato “Santo Peranda F. 1585”, è estremamente interessante, poiché è la prima opera documentata dell’artista.
Sante Peranda nasce a Venezia nel 1566, e rivela subito, sin dalla più tenera età una forte vocazione all’arte; racconta infatti Ridolfi (Le Meraviglie dell’arte 1648) come il giovane, lungo la strada per andare a scuola, spesso si fermasse incantato alla bottega di Paolo Fiammingo. Seguono poi alcuni anni di apprendistato presso le botteghe dei pittori Leonardo Corona e Palma il Giovane, e sono proprio gli anni durante i quali Sante esegue la tela per la chiesa di Rio San Martino.
Nel 1592 si reca a Roma al seguito dell’ambasciatore e vi rimane un paio d’anni per completare la sua formazione artistica. Appena ritornato a Venezia nel 1595 dipinge un ”San Giuseppe” per la chiesa omonima, “San Rocco” per la chiesa di S.Giuliano, “La battaglia di Jiaffa” per il palazzo ducale, nel 1602 la “Caduta della manna” per la chiesa di San Bartolomeo.
Raggiunta ormai una certa fama, non sufficente tuttavia ad avere un proprio spazio nella città di Venezia, Sante Peranda nel 1608 accetta l’invito di Alessandro I Pico e si reca a Mirandola, dove diviene pittore di corte, esegue la decorazione interna del palazzo del principe, e accetta alcuni incarichi della famiglia Estense di Modena.
Nel 1611 rientrato a Venezia, e impiantata una sua bottega, nello stesso anno dipinge “L’Ultima Cena” per la chiesa di San Martino a Conegliano (TV) e l’anno seguente “San Francesco e San Carlo” per il duomo di Mirandola (Mo), San Carlo per la cattedrale di Carpi (Mn) e altri dipinti per il palazzo ducale di Mantova. Dopo il 1619 dipinge “Sant’Agata e Sant’Andrea” per la chiesa dei Tolentini di Venezia e nel 1623 “I Misteri” per la chiesa di San Nicolò di Treviso. Nel 1638 l’artista muore a Venezia.
Queste poche righe non esauriscono certamente la descrizione della personalità di Sante Peranda, artista dalla complessa formazione e cultura ma ancora poco studiato. Tuttavia la segnalazione del dipinto giovanile di Rio San Martino nell’ambito della sua produzione, contribuisce almeno all’inserimento di un ulteriore tassello nel lacunoso catalogo delle opere.
Infine poche parole sul restauro. Il risultato è senza dubbio apprezzabile soprattutto in relazione al precedente stato conservativo. Sin dalla sua esecuzione il dipinto presentava infatti alcuni problemi, a causa della stratificazione della preparazione troppo spessa e debole, che provocava vistosssime “scodellature”. Questo fenomeno ha giustificato, lungo il tempo, numerosi interventi di restauro, che si sono limitati a stuccare sopra l’originaria pigmentazione dopo averla abrasa per assicura una migliore aderenza della materia.
Inoltre cogliamo l’occasione del ritorno del quadro restaurato, per sottolineare ricordare quale patrimonio d’arte conservi la chiesa di Rio Martino. Il dipinto di Sante Peranda è solo una parte di ciò che la comunità di Rio San Martino commissionò a valenti artisti per tramandare la propria tradizione di fede, rappresentatività e comunità. Oggi questa stessa comunità, nel farsi promotrice di questo restauro non ha dunque celebrato solamente il singolo quadro, ma anche quei valori che in passato ha saputo così magnificamente esprimere, benché purtroppo talvolta non altrettanto bene custodito.
La più antica testimonianza artistica ancora presente è proprio questa tela, datata 1585 che Sante Peranda aveva dipinto in coppia, per la stessa chiesa, con un altro raffigurante “San Leone Papa che addita ad Attila i Santi Pietro e Paolo contro di lui sdegnati nel cielo”, andato distrutto in un incendio nel 1921 quando era già stato rimosso dalla sua collocazione originaria.
All’inizio del XIX secolo la comunità di Rio San Martino vive uno straordinario risveglio di quegli stessi valori, poch’anzi accennati, e nell’autunno del 1811 commissiona a Giovanni Carlo Bevilacqua, il più noto pittore veneziano dell’epoca la decorazione ad affresco del grande soffitto della navata. Qui veniva raffigurato l”Apoteosi di San Martino”, un grarnde quadro in policromia, e un altro affresco circolare e monocromo, sopra la porta d’ingresso, raffigurante “Davide che suona l’arpa dinanzi a Saul”. Nello stesso anno, per cortesia - come il pittore stesso riferisce - esegue il ritratto (perduto) dell’allora parroco don Bernardo Revera, che doveva trovare collocazione, come era tradizione nella sagrestia.
Una pausa di sette anni e poi Bevilacqua nel 1818 ritorna a occuparsi di Rio San Martino dipingendo degli affreschi raffiguranti “la Fede, la Speranza e la Carità” e “Il sacrificio di Abramo” che si trovavano nel soffitto e nella parete di fondo dell’allora presbiterio, irrimediabilmente distrutto nel 1958 assieme a queste e altre opere, per il prolungamento della chiesa. Sempre nel 1818 Bevilacqua dipinge per la chiesa un olio su tela raffigurante “La Madonna del Rosario, San Vincenzo e San Domenico” anch’esso perduto.
Altri due anni di pausa e la comunità ottiene l’invio in paese di un’altra sua opera firmata e datata 1820 raffigurante San Giuseppe e il Bambino, San Filippo Neri, Sant’Antonio e San Biagio”, questa eseguita ad olio su tela e fortunatamente ancora presente in un altare laterale. Ancora una tregua di tre anni e nel 1823 veniva completato quello che doveva essere uno dei più imponenti e bei cicli religiosi di Bevilacqua, con I‘affresco di “Mosè mostra le Tavole della Legge” e “Il Trasporto dell’Arca” alle pareti laterali dell’allora presbiterio anch‘esso perduto.
Dott. Rita Camerlingo
Soprintendenza per i beni artistici e storici del Veneto